La fibrosi polmonare idiopatica, una malattia dei polmoni classificata come rara ma che in totale colpisce un milione di persone nel mondo e che è molto debilitante perché toglie progressivamente il fiato, è un nemico molto ostico da combattere. Il periodo medio di sopravvivenza dei pazienti è tra i 2 e i 5 anni (metà non sopravvivono, infatti, a tre anni dalla diagnosi), i farmaci possono solo rallentare il decorso della malattia ma non fermarlo in attesa magari del trapianto e diversi pazienti sperimentano effetti collaterali, ma un nuovo studio apre possibilità per quanto riguarda i trattamenti, perché è stato identificato un gene associato con la fibrosi, cioè la produzione di tessuto cicatriziale dei polmoni che caratterizza la malattia.
La ricerca è stata guidata dall'Università di Leicester e pubblicata su The Lancet Respiratory Medicine. Gli studiosi hanno analizzato il Dna di oltre 2700 persone con fibrosi polmonare idiopatica e 8500 senza la malattia in tutto il mondo, scoprendo che le prime avevano maggiori probabilità di avere mutazioni in un gene chiamato AKAP13. Hanno anche dimostrato che questi cambiamenti del DNA influenzano quanta proteina viene prodotta dal gene nei polmoni. I ricercatori sanno da altri studi, che AKAP13 fa parte di un percorso biologico che promuove la fibrosi e soprattutto che questo percorso biologico può essere "preso come bersaglio" con i farmaci. Considerato insieme, tutto ciò potrebbe portare a nuovi trattamenti. (FEDERFARMA-ANSA)